Oggi vi propongo la recensione di un libro che ho finito di leggere già da qualche settimana, ma non trovavo mai le parole giuste per descriverlo.
Non si tratta di un romanzo, ma di un interessantissimo manuale: "Il dilemma dell'onnivoro", scritto da Michael Pollan e pubblicato in Italia dalla Giunti Y.
Trama: Da dove vengono i cibi che ingeriamo? Che cosa stiamo mangiando davvero?
Michael Pollan decide di improvvisarsi «detective del cibo» per
conoscere l'evoluzione e i segreti nascosti dietro quello che si mangia,
dal seme al frutto, dalla storia del «cibo con una faccia» alla carne
lavorata e anatomicamente irriconoscibile. Inizia così una ricerca che
lo porta a conoscere varie realtà, dalla produzione industriale a quella
dei produttori diretti. Fast food, supermercati, fabbriche, macelli e
piccole fattorie diventeranno il terreno della sua instancabile marcia
verso la consapevolezza. In questo viaggio pieno di scoperte ma anche di
incertezze, Pollan dovrà affrontare molte esperienze che lo metteranno a
dura prova, dovrà combattere e accettare compromessi, dovrà forzare la
sua indole e imparare a cacciare e a uccidere per nutrirsi. Alla fine
però ritroverà la strada di un rapporto diverso con madre natura e sarà
in grado di scegliere come comprare, cucinare e mangiare. La sua ricerca
si conclude con un menù a quattro portate dove finalmente quello che
c'è nel piatto non è più un dilemma ma la storia appena raccontata.
Recensione:
Prima di buttarmi sui pro e sui contro di questo libro ci terrei a specificare che non sono stata in grado di assegnarli le solite stelline. Questo è avvenuto semplicemente perché “Il dilemma dell’onnivoro” non è un romanzo, bensì un manuale. Non essendo solita leggerne mi è risultato davvero difficile giudicarlo e valutarlo.
Conclusa questa piccola premessa inizio a parlarvi del libro.
Conclusa questa piccola premessa inizio a parlarvi del libro.
“Il dilemma dell’onnivoro” risponde ad una domanda che tutti dovremmo porci: cosa mangiamo veramente?
Michael Pollan è stato davvero abile nel rispondere, conducendo il lettore attraverso un percorso preciso e lineare. Innanzitutto analizza la produzione del pasto industriale (vi dico solo una parola: MAIS), successivamente si dedica al pasto biologico industriale (qui si sofferma sul vero significato del termine biologico, spesso utilizzato in maniera non corretta), il terzo capitolo riguarda il pasto sostenibile locale e infine l’autore ci parla del classico pasto fai-da-te.
Michael Pollan è stato davvero abile nel rispondere, conducendo il lettore attraverso un percorso preciso e lineare. Innanzitutto analizza la produzione del pasto industriale (vi dico solo una parola: MAIS), successivamente si dedica al pasto biologico industriale (qui si sofferma sul vero significato del termine biologico, spesso utilizzato in maniera non corretta), il terzo capitolo riguarda il pasto sostenibile locale e infine l’autore ci parla del classico pasto fai-da-te.
Questo manuale è ben scritto, ha un’ottima impostazione e sa essere convincente… ma ha un grandissimo difetto: è scritto da un americano e si rivolge ai lettori americani.
Perché è un punto a suo sfavore?
Semplice: la maggior parte delle esperienze vissute da Pollan, gli esempi, le aziende e i supermercati citati nel libro sono tutti accomunati dalla bandiera a stelle e strisce. L’Italia (fortunatamente) ha poco a che fare con il più di queste cose. Certo, anche da noi esistono i fast food, ma come sappiamo il più diffuso è il McDonald’s (fatta eccezione per il Burger King, presente in poche città italiane). Nel nostro Paese, inoltre, esiste un rigoroso sistema sanitario che si occupa di controllare da dove viene la carne e come è stata trattata e non permetterebbe mai una situazione simile a quella della Polyface, dove i polli vengono macellati all’aperto sotto una tettoia in amianto.
Perché è un punto a suo sfavore?
Semplice: la maggior parte delle esperienze vissute da Pollan, gli esempi, le aziende e i supermercati citati nel libro sono tutti accomunati dalla bandiera a stelle e strisce. L’Italia (fortunatamente) ha poco a che fare con il più di queste cose. Certo, anche da noi esistono i fast food, ma come sappiamo il più diffuso è il McDonald’s (fatta eccezione per il Burger King, presente in poche città italiane). Nel nostro Paese, inoltre, esiste un rigoroso sistema sanitario che si occupa di controllare da dove viene la carne e come è stata trattata e non permetterebbe mai una situazione simile a quella della Polyface, dove i polli vengono macellati all’aperto sotto una tettoia in amianto.
Intendo dire che esistono enormi differenze culturali fra noi e gli americani e in questo libro sono estremamente marcate.
Basti pensare alla diversa concezione che abbiamo della cena. Io, fin
da quando sono bambina, sono abituata a consumare l’ultimo pasto della
giornata a tavola insieme alla mia famiglia. Sembra scontato, ma non lo
è: quante sono le famiglie americane che si siedono composte attorno ad
un tavolo e cenano assieme?
Le abitudini, gli usi e le tradizioni così diverse portano il lettore italiano ad alienarsi davanti al testo.
Le abitudini, gli usi e le tradizioni così diverse portano il lettore italiano ad alienarsi davanti al testo.
“Il dilemma dell’onnivoro” era già stato pubblicato in Italia da
Adelphi, ma la Giunti Y l’ha proposto in una veste differente da quella
precedente. Il libro infatti è stato modificato pensando ad un pubblico di giovani adulti:
è proprio su di loro infatti che questo manuale vuole fare presa. Ho
trovato questa una scelta tanto azzardata quanto intelligente, trovo indispensabile che un ragazzo si interessi a cosa sta mangiando.
In conclusione:
si tratta di un ottimo manuale, ma, come ho precedentemente affermato,
il suo grande difetto di rivolgersi agli americani non riesce a
coinvolgere e a convincere pienamente il lettore italiano.
Non so davvero se gli adolescenti compreranno un libro simile.
RispondiElimina